Tor Lupara oggi è più che una «frazione» nel senso che si intendeva una volta con tale termine. Amministrativa­mente lo è certamente; ma è una «frazione» di 6.000 abi­tanti, più grande del Comune cui appartiene! E' uno stra­no agglomerato sorto come un fungo, dall'oggi al domani. Mentana, di cui fa parte, per raggiungere gli attuali 4.000 abitanti, ha impiegato oltre tremila anni! Venti anni fa Tor Lupara era un punto geo­grafico disabitato; vi erano forse 8-10 famiglie. ...


  Ma non di questo noi in­tendiamo parlare; né vogliamo lamentarci della scarsa incisi­vità e delle poche idee della Civica Amministrazione. Né intendiamo qui ricordare le impellenti necessità di questa massa di gente venuta all'improvviso a scegliere Mentana come nuova Patria.
  Non vogliamo ricordare che finanche la farmacia manca e le strade più importanti sono ancora bianche; né tantome­no ricorderemo la necessità di illuminare le strade che sono ancora buie, soprattutto per paura di far torto alle coppie di innamorati, cui tan­to buio fa molto comodo!
  Stavolta lo scopo che ci prefiggiamo è ben diverso. Scri­viamo per far conoscere, a tan­ti cittadini immigrati come noi, che la terra che oggi calpestiamo non è una terra qualunque, non è fatta di comuni zolle di «humus», ma è una terra storica; ogni nome pullula di vecchi, glo­riosi, interessanti avvenimenti. Tanti nomi che noi pronun­ciamo giornalmente, con estre­mo disinteresse furono al cen­tro di avvenimenti che vogliamo far conoscere. Vi guideremo idealmente quindi alla maniera dei ciceroni: noi avanti e voi dietro a... fare carovana!
  Entriamo nel territorio di Tor Lupara al 17° Km. della Nomentana e subito alla destra vi è Tor S. Antonio. Quello che oggi noi vediamo è ciò che resta del Castello Me­dievale; ma questo stesso fu costruito su antichi ruderi, che dovevano essere un «oppido», cioè un posto avanzato di di­fesa della splendida città sa­bina detta Ficulea. Sotto tali ruderi vi era un sistema di gallerie, che rimase visibile sino a qualche decennio fa, a quanto ci ha assicurato Vin­cenzo Volpe; questi anzi af­ferma che con la sua ruspa fu proprio lui a coprirne lo sboc­co durante lo svolgimento di certi lavori agricoli.
  Non ci soffermiamo più ol­tre: v'è molto da camminare! Un po' più avanti, nella tenu­ta Vernej vi fu certamente una villa di cui non si ha più memoria, non essendosi trova­ta alcuna scritta epigrafica. Ma i reperti ritrovati, i bassorilievi e le bellissime anfore in terracotta ancora ben conservate nella villa omonima testimoniano un indiscu­tibile splendore.
  All'altezza del km 18 della via Nomentana, sulla sinistra uscendo da Roma, al colmo della collina, svetta un bel rudere. E' la Torre! Questa fa parte di una serie di costru­zioni uguali, di origine me­dievale; servivano come po­sti di avvistamento e di prima difesa contro le incursioni.
  Non è il caso che vi dica che da questo rudere, con poca spesa, se ne possa ricavare un bel monumento: basta re­staurare e consolidare il fabbricato, mettere poche piante ornamentali, recingere con una siepe di ligustro e un po' di ghiaia e mettere qual­che panchina... Fra voi che seguite questa visita ai luoghi archeologici v'è qualche consi­gliere comunale che possa far propria la proposta? Ne gua­dagnerebbe l'estetica della Frazione!
  Sempre avanti. Al centro di Tor Lupara vi sono oggi gros­si complessi edilizi; dove vediamo le case del fratelli Laurenzi, le case dei Rossi, il negozio di parrucchiera di Concetta e sino a Gisello, il macellaio e giù ver­so Fonte Lagrimosa vi fu la tenuta di Nicostrato Tiziano che visse al tempo di Tito Flavio Augusto, nell'80 d.C.! E negli scavi che fecero i fra­telli Laurenzi fu trovala la lapide della tomba di fa­miglia, che tradotta in lingua italiana diceva: «Il liberto Nicostrato Tiziano, regnando Tito Flavio Augusto, co­struì questa tomba per sé e i suoi discendenti liberti e liberte».
  Spingendoci fuori dal centro abitato, sulla destra incontriamo il Castello di Monte Gen­tile. Col permesso della sig.ra Ines Evangelista, attuale pro­prietaria, entriamo a curiosare. Di questo Castello si vedono ancora muri dell'epoca; fu costruito dagli Orsini. La tenuta era di loro proprietà solo per metà; l'al­tra era della famiglia Capoc­ci. Nel lontano 1309 il capo dì questa famiglia, Giovanni Capocci, donò 20 rub. di grano alla Basilica di S. Maria Maggiore, raccolto nella te­nuta di M. Gentile. Per con­fermarne l'antichità ricorde­remo pure che nel 1374 metà del Castello fu assegnato in dote da Giordano Orsini alla sorella Giovanna. E la zona doveva essere molto alberata, se nel diario del Notaio Nantiporto si legge che nel gen­naio 1436 il Gonfaloniere delle truppe pontificie venne si­no a Monte Gentile ove prese molto legname.
  Credete che non vi sia più nulla da dire della nostra zo­na? Grosso errore! Le acque che da qui dipartono, le avete mai seguite? Quelle che scendono da Fonte Lagrimosa, dalla tenuta Belisario, dai Dodici Aposto­li, dalla Conca, da Tor S. Giovanni! Bene, queste acque, che oggi si raccolgono nel cosiddetto Fosso di Sette Ba­gni, affluente del Tevere, sino al secolo scorso portavano il nome millenario di «Al­lia»: alcune carte geografiche ancora ne riportano quel nome. Nella descrizione degli storici romani (Tito Livio, Dionigi, Virgilio) l'Allia era il fiume che raccoglieva e por­tava al Tevere, le acque dei monti Crustumerini che altro non èrano che i monti tra Tor Lupara, Tor S. Giovanni, la Nomentana e la Salaria. I monti si chiamavano Crustumerini perché vi sorgeva Crustumerio, gloriosa città sabina come Nomento, Cenina, Fidene e Ficulea.
  Questo fumiciattolo che par­te dalle nostre terre un tempo fu di estrema rinomanza; i Romani furono debellati dai Galli di Brenno, noto per aver pronunziato la frase famosa: «Guai ai vin­ti!». Quel triste giorno, 18 luglio del 390 a. C., fu così terribile per i Romani che per tanti secoli lo ricordarono nei loro calendari come in­fàusto; il cosiddetto «giorno alliense».
  Non vogliamo infine chiu­dere questa nota storica senza parlare di un fatto che interessò la zona qualche tempo dopo la fondazione di Roma con il ratto delle Sabine. Molte città pare fossero state vittime di tale episodio, ma le più colpite furono proprio Crustumerio e Cenina. L'episodio, con interpretazioni varie, sembra storico e quei buoni abitanti che si trova­vano qui a quei tempi se ne ricordarono per un pezzo. Che ti fecero infatti quelle birbe di Romani? Visto che nella città appena fondata vi erano tanti e tanti maschi ma di donne ben poche (e per quelle poche non doveva es­sere una situazione molto co­moda con tanti occhi addosso e... altrettante brame) de­cisero dì rimediare un po' di donne da sposare.
  Romolo fece bandire la da­ta di una festa in cui oltre ai riti sacri si sarebbero fatti tanti divertenti giochi. I Sabini non si fecero mol­to pregare e intervennero in massa con mogli e figlie. Era forse l'anno quattro di Roma, 749 prima di Cristo. Sul più bello della festa ad un segno di Romolo re, i giovani romani si sparsero per ogni dove e rapirono tutte le don­ne degli stranieri.     Gli storici presumono fossero state almeno 700 le Sabine rapite; il giorno dopo il ratto, Romolo fece celebrare altrettanti matrimoni, sperando di dimostrare ai Sabini che non avevano vo­luto far loro un torto! Non se ne persuasero però i Sabini, sicché gli abitanti di Crustumerio e Cenina dichiararono guerra a Roma ma furono sconfitti e tornarono a casa, tapini, senza le donne e con le pive nel sacco.

Il Giornale del Mezzogiorno
Salvatore G. Vicario